Nicola Tavoletta: considerazioni sulla storia

Vorrei promuovere una riflessione per provare ad accedere un dibattito.
Nel nostro tempo, in particolare negli ultimi trent’anni, credo che ci sia un tema che possa caratterizzare le dinamiche sociali.
Negli anni ’90 vi è stata una frattura con il passato, culturale ed antropologica, e riguarda la capacità o la volontà del mantenimento di una continuità del ragionamento di una civiltà o di un discorso intergenerazionale.
Se guardassimo le fasi storiche che ci hanno preceduti troveremmo lunghi periodi caratterizzati da stili o movimenti che attraversavano in maniera evolutiva le generazioni come se ci fossero patti di continuità tra queste.
Una generazione continuava ad approfondire il logos della precedente con diverse sfumature e caratterizzazioni, ma mantenendo strutturata quella che nei libri di storia viene definita una civiltà.
Vi era addirittura una competitività tra maestri ed allievi, costruendo nella storia dei veri e propri “filoni” filosofici, architettonici, artistici, intellettuali o politici.
Le classi dirigenti cucivano un filo unico passato nei decenni o addirittura nei secoli come dovere intellettuale o addirittura stimolante esercizio costruttivo verso prospettive evolutive.
Vi era una coerente capacità generativa con la cosciente consapevolezza di essere protagonisti in un tempo che si deve e può trasportare nei secoli con una chiara identificazione che attribuisca un senso a quello stesso tempo.
Rompere il logos diventava anche un atto di responsabilità rivoluzionario.
Aveva un peso epocale, ciò quasi sempre con un “gesto collettivo”.
Dagli anni ’90 sembra, o perlomeno, io sono convinto, che ci sia una tendenza a voler esaurire ogni discorso nella immediatezza, nella istantaneità.
Abbiamo il desiderio di consumare i temi della vita sociale con un’ ansia da fine del Mondo.
Ci sono due fattori che, secondo me, alimenterebbero questo costume: la rapida evoluzione tecnologica e il valore della prestazione personale.
Dagli anni ’80 abbiamo avuto una formidabile evoluzione tecnologica, adeguando i nostri tempi alla velocità dei suoi strumenti.
Cioè noi imitiamo il funzionamento delle nostre macchine, ragioniamo con i ritmi dei processi artificiali.
La nostra sfida è nel ritmo della immediatezza, della velocità.
Vogliamo essere come i nostri computer, sono il nostro modello comportamentale.
I Greci differenziavano il tempo in Kronos e Kairos, il primo era il tempo artificiale o convenzionale, il secondo quello giusto, quello naturalmente adeguato ad ognuno di noi.
Ora siamo tutti sintonizzati nella competitività del Kronos come fosse una continua gara con partenze ed arrivi. Nelle altre epoche eravamo tutti parte di staffette dove ci misuravamo nella lunga complessità di una gara unica.
Noi non abbiamo asservito le macchine al nostro ragionamento, ma abbiamo adeguato quest’ ultimo ai ritmi delle prime.
Il secondo fattore è l’importanza della prestazione.
La cultura umanistica si basava sul valore della personalità che era curata nel tempo, oggi ha preso il sopravvento la cultura anglosassone che è basata sulla prestazione.
Non si valutano più le personalità nel tempo, ma le prestazioni nella immediatezza.
Il quiz al posto del tema.
La prestazione ci ha sottratto alla continuità storica del ragionamento.
Non siamo più valutati nella storia, ma nel momento.
Ecco perché ogni discorso si esaurisce in maniera evanescente, sterile potremmo dire, in poco tempo.
Abbiamo la necessità di riflettere su questo aspetto del nostro comportamento collettivo, perché potremmo essere cancellati dalla storia senza dare un senso al nostro tempo.

Nicola Tavoletta

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