INTERNAZIONALIZZAZIONE: GUERRA E COVID RIDISEGNANO LE STRATEGIE DELLE IMPRESE

L’internazionalizzazione delle imprese italiane si trova davanti ad un punto di svolta epocale, che impone alle aziende la necessità di raffinare le proprie strategie di presenza ed espansione sui mercati esteri. Da un lato, infatti, aumenta il peso del tema “sicurezza”; dall’altro emergono nuove opportunità di business che il sistema italiano è in grado di cogliere. Sono queste le due linee guida che emergono dal nuovo rapporto targato ICE-Prometia che fa il punto sull’evoluzione del commercio con l’estero alla luce dei principali sconvolgimenti in atto a livello internazionale.

Gli effetti della guerra e del caro materie prime sul commercio internazionale

Secondo il rapporto, infatti, la crescita del commercio mondiale per l’anno in corso è prevista “non superare il 2,1%, un ritmo di sviluppo tra i cinque più bassi degli ultimi vent’anni e soprattutto più che dimezzato (era il 5,6%) rispetto a quello che era il quadro previsivo di prima dell’invasione dell’Ucraina”. Tradotto in numeri, la revisione dello scenario degli scambi dovuta alla guerra è stimata in una perdita di 2 mila miliardi di euro nel corso del biennio, un downgrading di opportunità diffuso a tutti i mercati.

All’instabilità politica derivante dalla guerra – che segue due anni di pandemia e crisi economica – si sommano poi gli effetti del forte aumento dei costi delle materie prime. La pressione dal lato dei costi sacrifica infatti margini, riducendo quindi la possibilità di futuri investimenti. Una situazione che rallenterà ulteriormente la vitalità degli scambi rispetto al suo potenziale anche nel 2023, contribuendo a disegnare un quadro di previsione che rimane orientato alla prudenza.

Una situazione che, per le imprese importatrici/esportatrici, si tradurrà nella necessità di scaricare a valle almeno una parte dei maggiori costi subiti dal lato degli input, aumentando il prezzo finale dei beni esportati senza tuttavia alimentare una crescita reale. 

I nuovi elementi di analisi per operare sui mercati esteri

Alla luce del nuovo scenario internazionale, cambia anche la valutazione degli elementi prioritari che le imprese devono effettuare, nel definire le proprie strategie di internazionalizzazione. A dover cambiare ed evolvere è anzitutto la modalità di selezione dei Paesi in cui operare, che vanno considerati non più come meri mercati, bensì come “veri e propri partner strategici”. 

Rivoluzione di paradigma anche per quanto riguarda il concetto di “opportunità da internazionalizzazione” che dovrà iniziare a tenere conto non solo delle occasioni di export verso quel mercato, ma anche “dell’accesso a input strategici e convenienti sul fronte del sourcing e delle importazioni”. I forti rincari delle materie prime hanno infatti reso il canale degli approvvigionamenti cruciale, come testimoniano i blocchi produttivi che si stanno avendo in alcune filiere nelle quali sono improvvisamente diventati indisponibili input strategici come le argille, gli olii o i semilavorati del metallo, solo per citarne alcuni.

Da qui derivano tre elementi essenziali che ormai, ciascuna impresa che opera all’estero, dovrà tenere sempre in considerazione.

Il primo è rappresentato dall’importanza della gestione del pricing. Se infatti, in un mondo a bassa inflazione, le strategie di prezzo dipendono soprattutto dal posizionamento ricercato ex ante e dal confronto con i concorrenti sul medesimo mercato, nello scenario attuale il timing di adeguamento e la programmazione dei listini diventa necessario per garantire sostenibilità al ciclo produttivo e massimizzare i rendimenti dei processi di vendita.

Il secondo elemento è quello dell’importanza crescente delle competenze finanziarie delle imprese che dovranno sempre più agire in maniera sistematica anche sulla copertura dai rischi “volatilità dei prezzi”, in controtendenza con l’abitudine ancora poco diffusa tra le imprese italiane di adottare strumenti di mitigazione su questo fronte.

Il terzo elemento è l’importanza di riorganizzare il proprio commercio estero lungo filiere più corte e selettive che tengano conto non solo del fattore “costo”, ma anche di alleanze politiche e affinità culturali tra i partner. 

Quella che si va profilando all’orizzonte è dunque una nuova fase dell’internazionalizzazione dove, ai fattori meramente economici, si affiancano quelli geopolitici. Il risultato sarà quindi una nuova mappa degli scambi articolata verosimilmente per blocchi regionali e che – una volta realizzata – dovrebbe essere “più resiliente agli shock e sostenibile nel medio-lungo periodo”.

Dott. Matteo La Torre

Progettista ed Esperto in Fondi UE – Ambasciatore del Patto europeo per il clima in Italia

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