“OUTLOCKING: UN RISCHIO POSSIBILE?”

Le ipotesi sulle conseguenze psicologiche della fine del lockdown sono state ampiamente discusse, Tuttavia vertono fondamentalmente su fattori disforici, concentrando problematiche prossime ai disturbi dell’umore: ansia da contagio, fobie e ritiro sociale, includendo aspetti ossessivi e paranoici.
La conseguenza è che sembra palesemente ignorata quello che per comparazione potremmo definire io polo “opposto”, a partire dallo stato d’anim: quali saranno le reazioni “euforiche” avranno anche queste livelli degenerativi?
Il termine “Outlocking” (andare fuori la chiusura) non vuole essere un “veroso” allo stesso “lockdown”, quanto rappresentare quelle insieme di reazioni inadeguate che oltre ad avere connotati di matrice patologica rischiano di aggravare e riavviare il contagio.
I comportamenti emotivi correlati con il periodo di fortissimo stress vissuto in questi mesi non potranno dare necessariamente le stesse risposte, in particolar modo nell’era era contemporanea e la sua forte diversificazione di norme politiche, sociali, culturali e le loro relative conseguenze e aspettative.
Gli atteggiamenti maniacali dovrebbero quindi essere riscontrabili in alcune condotte a rischio (sviluppo di dipendenza da alcool o droghe, atteggiamenti irresponsabili verso partner e famiglia, allentamento totale delle precauzioni contro il pericolo di contagio).
Non si tratterebbe solo di fenomeni semplicemente riconducibili all’area di una euforia mal gestita, oppure una strutturale noncuranza delle conseguenze delle proprie azioni. La stessa difficoltà di comprensione delle ragioni della quarantena potrebbe giocare un ruolo negativo, soprattutto di fronte a due tipologie di pensiero speculari:
a) Il remissivo, colui che seguirebbe il vecchio detto "non capisco ma mi adeguo e ritiene eccessivo se non inutile il lockdown ma accetta acriticamente le sue conseguenze per non essere sanzionato. Dal momento in cui nella fase 2 ciò che non è proibito è lecito e molto probabilmente si lascerà andare ai comportamenti frenati, anche se non saranno particolarmente calcati quanto riassumibili in gesti di noncuranza (raro uso di mascherina e guanti e modalità non idonee di smaltimento, gestione random del distanzialmento sociale…)
b) Il complottista, lo ritiene dettato da ragioni ideologiche e dittatoriali, secondo le quali la quarantena è sostanzialmente immotivata sul piano sanitario ma inscenata per la limitazione dei diritti sociali. Si è costruito e mantenuto questa ipotesi attraverso un rapporto morboso con siti internet e pagine o gruppi social che sostenenti le stesse ipotesi, all’interno delle quali si verifica il fenomeno delle chambers. In pratica si comporterà come se il rischio di contagio non fosse mai esistito, a riprova delle sue teorie.
In linea di massima, rispetto alla sindrome della capanna, potrebbero risultare episodi meno frequenti, ma al tempo stesso più rischiosi:
1) proprio per via del processo aggregativo che si matura con chi ha pensieri simili può portare a fenomeni con maggiore soglia di rischio, soprattutto nei contesti di divertimento;
2) Proprio perché è un fenomeno di natura maniacale, che mette in discussione non il mondo interiore ma quello esteriore è molto più difficile da riconoscere o accettare.
La accennata specularità con gli aspetti umorali potrebbe portare ad aspettarci i fenomeni di contrapposizione dell’area dei disturbi della Personalità, attendendo più facilmente da questo contesto reazioni a rischio (deliri, manie, paranoie, ecc.), fino a includere quelle coppie in crisi non per difficoltà insorte durante la fase di quarantena ma per l’idea di voler altro nella propriaesistenza.
La definizione dell’Outlocking, per quanto onnicomprensiva di diversi aspetti, potrebbe rivelarsi un valido approccio per integrare in un solo punto di vista episodi maniacali di vario genere e una politica di prevenzione sia verso molti contesti di disagio che veri e propri rischi di nuovi focolai.
Dott. Fabio Battisti.

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