La questione italiana nella questione mondiale

Le questioni di casa nostra per essere analizzate e valutate è importante che vengano contestualizzate nello scenario internazionale. Questa riflessione è antica, ma ha necessità di essere rinnovata, alimentando le informazioni e lo studio di queste.
La geografia sociale del Mondo ci pone una mappa che esprime sicuramente uno stato di sicurezza migliore rispetto a qualche tempo fa, ma comunque con nuovi movimenti di sofferenza. Il primo movimento evidente è quello dei flussi migratori, non solo originati dalla povertà come dall’Africa all’Europa, dai Paesi dell’America Centrale a quella Settentrionale o dai Paesi del Sud Est Asiatico verso i paesi Arabi o Australi, ma anche originati dalla ricchezza come la migrazione cinese. Quindi una migrazione dalle molteplici motivazioni, compresa la sicurezza personale o la salute come in Africa. Il secondo movimento è rappresentato dalle fragilità politiche interne, basti vedere Cile, Colombia, Catalogna, quindi Spagna, Libano, Algeria, Sudan, Egitto, Hong Kong, ma anche Francia con i gillet gialli. Terzo movimento le guerre: Afghanistan, Iraq, Ucraina, Kashmir, Nigeria, Mali, Myamar, Libia, Siria o Nepal. Quarto movimento quello della questione ambientale e della sostenibilità. Ovviamente quattro movimenti che hanno diverse origini e sono tutti collegati o integrati. C’è però una questione che li rende diversi da fenomeni passati, quella del lavoro e non dei lavoratori. Effettivamente le disuguaglianze dei lavoratori sono state tra le origini dei movimenti degli ultimi secoli, ma questa volta il termometro sociale si surriscalda sulla metamorfosi del lavoro. La tecnologia e quindi le macchine stanno cambiando il lavoro come concezione culturale e sociale, mandando in crisi il valore non del lavoratore, che potrebbe avere occasione di emancipazione, ma delle donne e degli uomini. Le partite internazionali iniziano a giocarsi nel disinteresse della umanità, valorizzando il virtuale, qualcosa che esiste nello sviluppo scientifico e non nella dimensione naturale. Pensiamoci, stiamo concentrando le nostre ricchezze sulla scienza, nel suo sviluppo autonomo e non come strumento di studio della natura. Il Comunismo e il socialismo si concentrarono sui lavoratori, il capitalismo sul capitale, ma è stata la dottrina sociale a concentrarsi sul lavoro come valore della umanità. Oggi estirpiamo alla umanità il lavoro, lo rendiamo dinamica della macchina, sollevando l’uomo da una fatica, anzi, diciamo la verità, privandolo di un valore. La ricchezza dei popoli diminuisce non nella quantità, ma per il peso nella economia mondiale, perché è il valore del lavoro ad essere messo in crisi. Il potere finanziario mondiale investe su uno schema economico dove il lavoro scivola via non più per le tipiche speculazioni monetarie, ma per la evoluzione di una realtà informatizzata che limita i percorsi dell’umanità. Una alternativa alla capacità umana. Questa prospettiva genera un attacco a tutti i riferimenti valoriali, propagandando un relativismo radicale, che illude tramite l’ignoranza politica. Ecco la crisi delle democrazie. Dall’altra parte ecco che dovrebbe scattare il riscatto della umanità: come? Con la capacità di rendere la tecnologia e le macchine nella loro reale natura, cioè strumenti al servizio del talento umano, riaffermando il lavoro quale questione fondamentale della società e della economia. Tornando a casa nostra è in questa ottica che si risolve la crisi politica ed identitaria dell’Italia, cioè nel rimettere al centro il lavoro, come sancito dall’Articolo 1 della Costituzione, e non lo sviluppo economico, ma lo sviluppo del talento nella comunità fondata sul lavoro, anche ripensando al ruolo dello stesso Stato nel mercato a tutela del benessere e del talento umano.

Nicola Tavoletta

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