COLTIVARE L’IMPERFEZIONE

Non ho alcuna intenzione di parlare della bontà dell’ortofrutta che non è sottoposta a pratiche di coltivazione con prodotti chimici.

Quei frutti bruttini, imperfetti, ma sani.

No, non intendo proprio toccare questo argomento.

Oggi mi volevo confrontare con voi sui valori della imperfezione.

Vi è una tendenza attuale a volere la ricerca della perfezione, a rendere tutto immune da difetti, errori, lacune, mancanze.

Credo che ciò tenda ad essere una omologazione. 

Probabilmente, vi è una volontà omologatoria di una cosiddetta cultura che cerca di essere prevalente e che si cela dietro all’idea di una ugualitarietà che sconfigga le differenze. 

Intanto, ho la convinzione che le differenze non vadano per niente sconfitte, ma valorizzate, perché senza le differenze vi sarebbe solo la indifferenza. 

Poi la ricerca della perfezione è utopica, perché essa è divina e non umana, quindi cercarla è un esercizio utile solo per la produzione di alibi. 

Gli alibi di coloro che non decidono e che non procedono perché non vi è mai lo stato perfetto.

Oppure gli alibi di coloro che chiedono la cessione di valori o diritti per la costruzione di una comune realtà perfetta, così come professano le dittature o quei movimenti tecnocratici. 

Lo sviluppo tecnologico che rappresenta un avanzamento utile e giusto per la vita umana individuale e collettiva non può costituire, come questa presunta “cultura prevalente” tenta di sostenere , un modello di vita per far assomigliare o adeguare sempre di più l’uomo alle capacità di prestazione delle macchine.

Intanto le vite nostre e quella della comunità tutta non possono concentrarsi o essere valutate sulle prestazioni, ma sulla personalità. 

È la differenza delle personalità che appunto ci fa scorgere tutte le imperfezioni caratterizzanti, non rispetto ad un modello di perfezione che risiede solo in Dio, ma nella misura che le relazioni sociali stesse generano. 

La persona, nodo di relazione sociali, è proprio in esse stesse a cogliere differenze e imperfezioni, quindi a stabilirne anche un valore. 

Perché evidenziamo ciò? 

Proviamo a sviluppare un ragionamento di armonica coesistenza delle persone e personalità e quindi di imperfezioni e differenze. 

Tanti anni fa era un metodo che genero’ la democrazia, poi il nuovismo di una politica decadente lo definì un vulnus per il governo e il parlamento, si chiama compromesso. 

Il significato etimologico di compromesso, compromissus, è obbligato insieme, composto da cum insieme e promissus promesso.

Viene dato con esso un valore e una prospettiva comune a differenze e imperfezioni, facendole evolvere in un progetto, anche un progetto di comunità. 

Il compromesso ha generato la nostra democrazia e inevitabilmente è l’unico strumento riconosciuto per rinnovarla in armonia. 

La democrazia è sicuramente imperfetta perché figlia di persone e popoli imperfetti. 

La perfezione si rimanda nella utopia, si consuma negli alibi e si perde nel rimpianto. 

Le imperfezioni e le differenze generano sistemi, modelli, socialità, vitalità e compimenti di opere. 

La vera concretezza delle opere, colui che compie opere è concreto.

L’interpretazione dell’equilibrio è declinata con le capacità del compromesso e quindi le vere disuguaglianze emergono quando le posizioni sono assolute, nette, potremmo dire perentorie. 

Oggi dovremmo tornare a cucire compromessi per il bene comune, per la vitalità della nostra comunità. 

La nostra Costituzione è modello di compromesso e ci permette un livello alto di democrazia nonostante la coesistenza di movimenti individualisti che predicano la valorizzazione della unicità, il famoso “uno vale uno”. 

La grandezza e la salubrità di una comunità si misura sulla capacità di mettere insieme mantenendo un destino comune. 

Questa è la sfida che il nostro tempo ci dichiara non più solo nella dimensione italiana, ma in quella europea. 

Il tema dei diritti individuali e quello del vivere in comunità ci chiede un compromesso politico e sociale che va valutato proprio nelle differenze. 

Non possiamo delegare al relativismo e all’individualismo la costruzione della casa comune europea, neanche alla progressività delle prestazioni che non vuol dire progresso. 

Ciò anche perché l’Europa ha bisogno di vera concretezza, di opere. 

Noi possiamo mettere in campo nel confronto quella autentica interpretazione della vita cristiana che offre una posizione di confronto ideale e spirituale per ricucire pacificamente con le altre posizioni e trovare un armonico destino comune. 

Offro qui un tentativo di ragionamento ideale per ascoltare ogni diversa posizione che può unirsi alla mia, generando appunto la concretezza della amministrazione politica della cosa pubblica ad iniziare dalle politiche agroalimentari. 

Buona democrazia a tutti noi, 

Nicola Tavoletta 

Presidente Nazionale ACLI TERRA

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