Le Acli ai sindaci pontini: “attuare i regolamenti di collaborazione”

Alla cortese attenzione dei Signori Sindaci dei Comuni della provincia di Latina Dei Segretari e Presidenti provinciali dei partiti politici: Cuori Italiani, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Noi con Salvini, Nuovo centro destra, Partito Democratico

Oggetto: proposta istituzione regolamento per “Patti di collaborazione comunali”

Con la presente le ACLI Provinciali di Latina intendono dar seguito al dibattito aperto sulla stampa sul tema della mediazione sociale e il ruolo dei corpi intermedi, proponendo a voi Sindaci e Dirigenti dei partiti politici rappresentati sul territorio provinciale, una soluzione per stringere patti operativi tra gruppi di cittadini organizzati e gli enti locali.

Tali ipotesi di collaborazione, già attive in altre realtà, potrebbero riuscire parzialmente a colmare le gravi carenze economiche esistenti, ma anche a valorizzare le energie inutilizzate o la voglia di partecipazione; voglia di partecipazione che verrebbe canalizzata nella responsabilità di processi positivi, distogliendola da sterili derive di rabbiosa antipolitica.

Nuove alleanze alla pari per sviluppare azioni inedite di welfare: è quanto si sta sviluppando in numerose città italiane a partire dal Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani, adottato per la prima volta a Bologna nel 2014. Uno strumento attraverso il quale le organizzazioni della società civile propongono interventi sul proprio territorio, che si realizzano con il contemporaneo impegno dei cittadini proponenti e del Comune.

Dal 2001 nella nostra Costituzione è stato introdotto il principio di sussidiarietà che, come argomenteremo in questo contributo, rappresenta una grande chance di cambiamento generale, e anche in termini di prospettive che si aprono sul tema del welfare.

“Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà” (art. 118, ultimo comma)

Il processo è iniziato una quindicina di anni fa alla comparsa del principio di sussidiarietà nella nostra carta costituzionale, ma ha conosciuto una svolta quando, nel 2014, alcuni tra i maggiori esperti di diritto amministrativo hanno accolto lo stimolo di uno straordinario funzionario del Comune di Bologna, Donato Di Memmo, che mise in evidenza un problema che gli si presentava quotidianamente. Troppo spesso le energie di molti bolognesi attivi venivano disperse: occorreva un dispositivo, il più semplice possibile, per canalizzarle meglio.

Fu così che Bologna adottò il primo Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani.

Il Regolamento prevede la possibilità, da parte dei cittadini o organizzazioni della società civile di proporre un intervento che si realizza con il contemporaneo impegno dei cittadini proponenti e del Comune. Quest’ultimo assicura sempre un proprio supporto: mettendo a disposizione i propri mezzi di comunicazione diffusa, il lavoro di dipendenti comunali e le attrezzature per i diversi settori di intervento pubblico locale, le proprie reti con altri soggetti del territorio. Il regolamento offre una cornice giuridica in cui tale azione può collocarsi e  ne delinea le regole; ogni singolo intervento diventa parte di un Patto di collaborazione che specifica, coerentemente con il regolamento, i soggetti, i modi e i tempi con cui cittadini e istituzioni si impegnano reciprocamente a realizzare obiettivi comuni.

Il Regolamento prevede che i Comuni facciano la loro parte favorendo le iniziative dei gruppi attivi nelle città e nei territori, nei modi e nei tempi pattuiti; reciprocamente, anche i cittadini attivi, i gruppi informali e le associazioni devono rispettare gli impegni presi.

La cultura dell’Amministrazione condivisa è andata via via incidendo su due sfide di cambiamento culturale. Da una parte lo snellimento burocratico e la rapidità realizzativa sono diventati auto-evidenti (questo è il caso degli oltre duecento Patti stipulati nel comune di Bologna); dall’altra parte la costruzione di collaborazioni multi-attoriali, inedite dal punto di vista tematico, sorprendenti sotto il profilo dei contraenti (“nemici storici”, per così dire, che finalmente si alleano).

Sono oggi quasi cento i Comuni italiani che hanno adottato questo Regolamento, tra cui capoluoghi di Regione come Torino, Bari e Genova, ma anche luoghi fortemente simbolici come Casal di Principe, numerose realtà medie lombarde e toscane ma anche più piccole, come Acireale in Sicilia, adattandolo tutte ai rispettivi contesti, con lo stesso obiettivo: portare la prospettiva sull’interesse generale, facendo del tema dei beni comuni uno dei laboratori privilegiati di esercizio della democrazia locale. I Patti di collaborazione sono i dispositivi attraverso cui il Regolamento concretamente si attua.

Un patto di collaborazione prevede che un bene comune possa diventare oggetto di azioni di cura, rigenerazione, riuso o gestione per iniziativa di cittadini singoli o associati, ovvero su proposta dei funzionari o dei responsabili politici comunali. Tale proposta può quindi venire “dall’alto” o “dal basso” ma risulterà sempre come azione, materiale e/o immateriale, che non può prescindere dal responsabilizzarsi delle diverse parti contraenti, che si impegnano a rispettare gli impegni pattuiti.

Essi possono essere contratti da cittadini, amministratori (tutti coloro che hanno un ruolo professionale all’interno della Pubblica amministrazione), membri di associazioni operanti sui territori, persone attive in gruppi informali e soggetti privati. Nel momento in cui si stipula un Patto di collaborazione, il principio costituzionale sopra riportato diventa realtà. Dunque: al livello nazionale si fa riferimento all’articolo 118 ultimo comma, al livello locale i Comuni adottano il Regolamento, infine si stipulano i Patti di collaborazione alla scala micro-urbana, di città, di area metropolitana o territoriale.

ESEMPI DI PATTI DI COLLABORAZIONE

“Tutti al parco” è stato stipulato tra il Comune di Temi e l’Arci locale:

“Spesa sospesa” è il Patto di collaborazione stipulato tra il Comune di Cortona, una radio e la Caritas

Narni accessibile a tutti: un Patto tra Comune di Narni, Unità sanitaria locale, teatro, associazioni Attivarsi progettando insieme e autocostruendo dopo la catastrofe: il Patto stipulato a L’Aquila

Il Regolamento deve essere, per così dire, un ombrello sotto cui mettere al sicuro Patti di collaborazione improntati a nuove forme di mutualità, azioni efficaci e creative di contrasto alla povertà, basate su un’idea nuova di cittadinanza, che valorizzino le risorse ambientali di un certo luogo, le relazioni attivabili tra i suoi vecchi e nuovi abitanti. I Patti sfidano il sistema socio-economico perché smontano enormi sfide in sfide più circoscritte e tematizzate. Se ad esempio esiste uno storico problema di insufficienza di spazi pubblici di aggregazione in un quartiere, un Patto di collaborazione potrà iniziare a rispondere mettendo a collaborare alcuni abitanti con soggetti pubblici, privati, del terzo settore: il Comune, un liceo, la parrocchia, un’impresa sociale, un comitato di cittadini… le configurazioni di possibili contraenti sono tante. Basta che alcuni abbiano l’idea e si responsabilizzino, poi chiunque si potrà unire. L’unico patto è quello di rispettare i patti.

Molti amministratori a cui viene presentato questo nuovo strumento di diritto amministrativo rispondono che nel loro comune c’è già un Regolamento simile. Ma i regolamenti settoriali, ad esempio un Regolamento per la cura del verde comunale, non sono ombrelli sufficientemente ampi per proteggere le molteplici, diverse e spesso sorprendenti declinazioni di una cittadinanza attiva (non solo nella cura di orti e giardini) che non vuole avere nei confronti dell’amministrazione pubblica locale un atteggiamento rivendicativo, ma costruttivo, sperimentale, collaborativo. L’idea di fondo è che nuove prassi generative capaci di far fronte a problemi complessi abbiano bisogno di laboratori territorializzati e condivisi. Restringendo il campo, ad esempio al solo tema del verde pubblico urbano, appare una scelta impoverente rispetto a lasciarlo il più aperto possibile a proposte tematiche o territoriali nuove.

Partendo dal presupposto secondo cui le persone sono portatrici non solo di bisogni ma anche di capacità, è importante sapere che nuove alleanze possono essere pattuite nelle città che adottano il Regolamento. Gli esempi scelti testimoniano sensibilità verso un approccio preventivo rivolto a tutti, oltre che curativo delle persone bisognose. I Patti di collaborazione sono un dispositivo troppo recente perché si possano già valutarne le ricadute e gli impatti. Ma l’ipotesi è che attorno ai beni comuni si aggreghino delle comunità di affinità, oltre che di interesse, che costruiscono alleanze nuove che cercheranno di assorbire le problematicità in modo inedito. Ad esempio possiamo dire che a Cortona il patto intercetta preventivamente possibili situazioni di impoverimento e che per questo i servizi sociali dicono che arrivano meno poveri a chiedere sussidi? Non ancora, ma la direzione in cui muove il Patto è quella.

Attraverso i Patti di collaborazione la sfera pubblica, privata e del terzo settore possono sovrapporsi in modo sinergico: le energie dei singoli, dei gruppi informali e delle associazioni vengono così messe a disposizione della comunità per contribuire a dare soluzione a sfide che non spettano solo alle amministrazioni pubbliche, così come non possono essere affrontate senza un loro contributo. Agire in modo sussidiario è ben diverso dal disinteressarsi dello stato di fatto e del futuro: i Comuni che si impegnano nel cambiamento della quotidianità degli abitanti di strada (Bologna) dei rifugiati (Terni) e degli indigenti (Cortona) investono risorse umane, economiche e organizzative attraverso i Patti.

La Costituzione riconosce che i cittadini sono in grado di attivarsi autonomamente nell’interesse generale e dispone che le istituzioni debbano sostenerne le idee e gli sforzi. I Patti di collaborazione testimoniano che soggetti in difficoltà così come soggetti altamente qualificati possono essere interessate a risolvere non solo i propri problemi individuali, ma anche quelli che riguardano l’interesse generale, perché hanno intuito, capito o presupposto, che se migliora la vita di tutti migliora anche la propria quotidianità.

L’amministrazione condivisa dei beni comuni è un’opportunità nuova e concreta.

Inutile nascondere che molte sono le problematicità connesse ad un cambiamento culturale così profondo.

Le Acli Provinciali di Latina offrono la propria collaborazione gratuita per contribuire a costruire tali percorsi con le proprie funzioni organizzative ed i propri esperti.

Cordiali saluti, Latina lì 09/01/2017                                                            Maurizio Scarsella

Presidente provinciale Acli

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