EDUCARE ALLA DEMOCRAZIA, di Massimo De Simoni

EDUCARE ALLA DEMOCRAZIA
(di Massimo De Simoni)
Nel “Forum mondiale della democrazia” di novembre, partendo dall’interrogativo “Può la democrazia salvare l’ambiente?” si è parlato di efficienza ed efficacia dei sistemi democratici nel mondo.
Già due anni fa Putin disse “il liberalismo è obsoleto” e in occasione dell’ultimo G20 tenutosi a Roma Biden – tra le altre cose – avviò un dibattito sulla possibilità che le democrazie del ventunesimo secolo possano apparire non sempre adeguate alle esigenze che segnano oggi la vita dei diversi paesi. Ovviamente questa è una preoccupazione per chi crede nei sistemi democratici ed ha a cuore il rafforzamento e l’ampliamento dell’area della democrazia nel mondo.
La recente pandemia ha ulteriormente posto la questione della gestione di un’emergenza in un sistema democratico; ancora oggi le polemiche su Green-pass e obbligo vaccinale offrono spunti di riflessione che inevitabilmente incrociano i ragionamenti sull’efficienza dei sistemi democratici nell’adottare misure di contrasto alla diffusione del virus. E’ stato citato più volte il caso della Cina (anche con qualche compiacimento da parte di taluni) per la rigida applicazione del coprifuoco e di altre restrizioni, trascurando invece il fatto che proprio l’assoluta mancanza di trasparenza e di libertà di espressione che caratterizza il regime cinese, ha causato dei drammatici ritardi nel predisporre misure per frenare la diffusione del virus nel resto del mondo. La tutela della salute pubblica di un’intera comunità è una condizione indispensabile affinché si possa riaffermare il principio della centralità della persona umana e con essa la libertà individuale e collettiva per poter lavorare, svolgere attività culturali e di socializzazione.
Solo la democrazia può garantire un approccio trasparente alle informazioni ed un confronto tra le diverse realtà sociali; ma il confronto richiede tempo e lavoro, due fattori abbastanza in crisi in un periodo in cui vince tutto ciò che è il più veloce e il meno impegnativo possibile.
Inoltre, i due anni che abbiamo alle spalle – con il portato di chiusure, cancellazioni di appuntamenti e di iniziative pubbliche – hanno inevitabilmente aumentato la disaffezione per la partecipazione e l’attivismo in presenza; l’Osservatorio Unipolis segnala che nell’ultimo anno solo un italiano su dieci dichiara di aver preso parte ad una iniziativa di tipo politico, con un crollo di partecipazione anche nelle attività associative (dal 38% al 20%) ed in quelle di volontariato (dal 44% al 24%).
E’ opportuno ricordare che la democrazia non è un elemento presente in natura, ma una piccola parentesi nella storia dell’uomo; la democrazia è il frutto di un costante lavoro di costruzione e di difesa delle condizioni che la possono determinare e rendere effettiva.
E’ ormai chiaro che le libere elezioni sono solo un fattore che contribuisce alla definizione del carattere democratico di un paese; perché la democrazia sia vera ed effettiva deve essere inclusiva, deve garantire la libertà di espressione e di accesso alle informazioni, deve prevedere un controllo reale sull’operato delle classi dirigenti grazie ad un sistema di divisione e bilanciamento dei poteri (vedi il “check and balance” della cultura anglosassone) che renda i vincitori delle elezioni dei governanti, ma non dei padroni assoluti delle istituzioni e della “res publica”. Nel mondo sono molti i paesi non democratici nei quali il tiranno di turno vuole essere incoronato attraverso delle elezioni che si svolgono nell’assoluta assenza delle garanzie minime di confronto e di partecipazione ai processi decisionali; non a caso si parla sempre più spesso di “democrature” per definire dei sistemi ibridi di democrazia illiberale, parziale o semplicemente formale, ma con un carattere sostanzialmente autoritario.
Nelle moderne democrazie occidentali la progressiva personalizzazione della politica, la tentazione di gestire attraverso i social il confronto tra idee diverse, tende a restringere gli spazi di partecipazione reale comprimendo di fatto il tasso di coinvolgimento dei cittadini ed il loro attaccamento al concetto stesso di democrazia; un recente sondaggio ha rivelato che oltre il quaranta per cento delle persone intervistate sarebbe disposto a barattare quote della propria libertà in cambio di maggiore sicurezza in termini sociali ed economici; per chi crede nella democrazia, nella libertà e nella dignità della persona si tratta di un dato più che allarmante.
Cosa fare dunque, per andare oltre la ricorrente e sterile stigmatizzazione del calo di partecipazione ad ogni tornata elettorale?
Non penso che si debba parlare proprio di clima da “dopo-democrazia” come già venti anni fa faceva Dahrendorf, ma credo sia necessario tornare ad investire sulla democrazia, restituendole il giusto valore attraverso un lavoro di formazione che parta dai principi e dall’origine della nostra Costituzione; è opportuno recuperare quella funzione che era propria delle forze politiche popolari e più rappresentative del paese con lo scopo di preparare le persone più sensibili a “maneggiare” gli strumenti della democrazia e delle istituzioni.
Se la democrazia va costruita ogni giorno è necessario che diventi essa stessa oggetto di educazione e di formazione permanente; va valorizzato l’impegno per quella che Papa Francesco – in Fratelli tutti – chiama “la migliore politica”. Una politica che non strumentalizzi il popolo e i suoi bisogni (mestiere dei populisti), ma che punti a modificare le condizioni che creano sofferenza, facendosi carico anche del presente “più marginale e angosciante ed essere capaci di ungerlo di dignità”.
Va rivalutato l’impegno politico come “una delle forme più preziose della carità” per la ricerca del bene comune, per non perdere la speranza di riuscire a costruire un mondo migliore.

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