IL PALLONE È ROTONDO di Nicola Tavoletta

Il pallone è rotondo era la frase più ripetuta nei commenti calcistici quando si parlava della imprevedibilità del calcio e dei risultati a sorpresa. La forma geometrica del pallone rappresenta la garanzia della circolarità dei valori sportivi del gioco del calcio, una sorta di possibilità aperta a tutti. Nella società, soprattutto nella capacità di cambiare le posizioni economiche o di carriera, vi è una parola chiave auspicata: la possibilità. La possibilità per il povero di andare a scuola o la possibilità di accedere a cure sanitarie sono garantite dal principio della sussidiarietà nel nostro ordinamento repubblicano. La possibilità è la speranza fatta istituzione nelle nostre democrazie. La possibilità è il riscatto sociale, che è una delle motivazioni per il progresso sociale o per il benessere. Cercate uno dei primi banchi di prova che nella maniera più elementare rappresenta tutti questi concetti: troverete il calcio. Troveremo quell’essere rotondo del pallone, una circolarità delle possibilità. Nel calcio non sempre vince il più forte, il più ricco, ma c’è spazio per tutti. Lo sapete quale è la figura che più è derisa nel calcio dalle spiagge di Rio agli oratori di Caserta, passando per le periferie di Newcastle? Colui che prende il pallone, dicendo che è suo, che è il proprietario, e se lo porta via, interrompendo il giuoco. Un gesto ritenuto comunemente sbagliato, anche perché inutile, la partita continuerebbe anche con una lattina di birra, quindi quella partita non ha padroni, il gioco non ha proprietari. Certo sono contrario alla Superlega, al club dei proprietari che scelgono con chi e tra chi giocare. Sono contrario per le motivazioni che ho anteposto e per un’altra ancora: i “diritti d’autore” . Noi vediamo il calcio, lo seguiamo, lo amiamo, perché è un patrimonio meraviglioso collettivamente costruito. La mia Juventus non può farsi il suo campionato europeo ed estranearsi dal competere con tutti, non può farlo perché essa è stessa è figlia del riscatto italiano ed europeo che diede una lezione agli inglesi quando questi giocavano solo tra di loro perché superiori. La Juventus è figlia della sconfitta a Messina, subendo la doppietta di Floccari. Chiedete alla Juventus se il Ferencvaros rappresenta una squadra non degna di giocare alla pari, oppure c’è ancora una finale persa da riscattare. Il calcio è una industria, ha un valore economico importantissimo? È vero. È vero che gli autori che hanno diritto a quel valore perché lo hanno costruito per tutti si chiamano anche: il Napoli di Maradona, il Leicester di Ranieri, il Verona di Bagnoli, la Stella Rossa Campione d’Europa, la Danimarca del 1992, la Grecia del 2004, il Cagliari di Riva, il Super Deportivo La Coruna, il Foggia di Zeman, il Camerun di Milla, posso continuare all’infinito. Senza queste storie I grandi club non farebbero gli stessi soldi. Chiedete ad un tifoso se, finita la pandemia, sceglierebbe di vedere in tv l’ennesimo Milan-Real Madrid oppure correre allo stadio per un Palermo – Ascoli. Cantare, urlare, tifare, sperare per un Genoa che va a vincere a Liverpool. Aspettare i sorteggi per capire dove si trova Tampere e scoprire in quello stadio gelato, contro idraulici ed elettricisti finlandesi per la prima volta Francesco Totti. Chiedete all’Inter del Lugano, un ricordo lungo di passione e sofferenza calcistica. Poi vi offro un’altra riflessione: siamo europei ed europeisti e ci uniamo ad una Superlega solo con spagnoli e gli inglesi della Brexit? Infatti le squadre francesi e tedesche hanno detto di no. Noi italiani poi non possiamo lamentarci dell’Europa. Il Milan, il Real Madrid, la Juventus o l’Arsenal esistono e devono la propria esistenza, il proprio mito, qualcuno dice brand, anche al Marsiglia, al Torino, al Lione o al Rennes. Il valore economico del calcio lo rappresentò benissimo uno straordinario film del 1958, “Gambe d’oro”, con Totò, rivedetelo. Un emergente Cerignola, con i migliori calciatori già venduti ai grandi club, gioca senza risparmio contro la Nazionale Italiana in una amichevole. Vi saluto con un aneddoto impagabile. Un giornalista chiese alla teologa tedesca Dorothee Solle: “Come spiegherebbe a un bambino che cosa è la felicità?”. “Non glielo spiegherei” rispose. “Gli darei un pallone per farlo giocare”.

Nicola Tavoletta

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