Quando il GIOCO non è più un GIOCO

La realtà reale contro la realtà virtuale.
Call of Duty, Battlefield, Sniper Elite, God of War e i micidiali combattenti di Mortal Kombat, sono tutti giochi che dalle prime Playstation ed Xbox hanno accompagnato giovani di entrambi i sessi dai primi tempi in cui questi capolavori sono stati creati. Apprese le dinamiche e l’utilizzo del joystick, il giocatore non deve far altro che scoprire le mappe del gioco attraverso il personaggio in prima o in terza persona. Alcuni dei gamer si adoperano di una console e di un dischetto per puro divertimento, per puro svago o per fare nuove amicizie giocando online, dimostrando nella realtà che la storia appena completata non era altro che un trastullarsi con armi virtuali o pugni e mosse speciali astratti, ma più che divertenti.
Questo accade per la metà dei giocatori. Ma per l’altra metà invece?
Molto spesso alcuni dei professionisti nei giochi di guerra, sparatutto o picchiaduro, confondono la realtà reale che li circonda con la realtà virtuale. Mortal Kombat è uno dei più famosi picchiaduro di sempre, unito a Tekken, un capolavoro nato per la prima volta nel 1995 su playstation e sviluppato da Namco, una software house giapponese fondata nel 1955. Call of Duty, uno dei più famosi sparatutto nato nel 2003, è uno dei tanti giochi che ha diffuso nel mondo le drammatiche e vere vicende della prima e della seconda guerra mondiale, cercando di immedesimare il giocatore nei terribili ed agghiaccianti avvenimenti che l’uomo è riuscito a creare. Battlefield, nato nel 2002 per piattaforme windows e simile al precedente citato, mostra e dimostra ciò che la seconda guerra mondiale ha portato negli animi delle persone e negli animi dei paesi che hanno subito affronti gravi, uniti alle morti dei propri cari e alla distruzione di intere Nazioni. Nonostante sia uno dei tanti sparatutto, questo gioco insegna con scene forti, orripilanti, violente ma sopratutto emotive, quanto bisogni evitare di commettere gli stessi errori del passato, quanto l’immedesimazione in quel soldato virtuale possa far capire che l’ignoranza e la violenza non portano altro che conseguenze traumatizzanti e rovinose.
Purtroppo però, malgrado gli insegnamenti che gli sviluppatori di questi giochi hanno voluto diffondere, alcune persone tendono ad immedesimarsi fin troppo in un gioco pressoché violento, ottenendo nella vita reale un’arma in vero ferro e in vero acciaio. Oggigiorno i bambini dai cinque anni conoscono alla perfezione come accendere una console, come usare un joystick e come uccidere i personaggi nemici che tendono ad essere gli antagonisti della situazione, quando a questa età bisognerebbe giocare con coetanei e con un Super Santos, magari nel proprio vialetto di casa. In Texas le armi di prima categoria sono all’ordine del giorno e alcuni degli omicidi sono stati attuati perché molti pensavano di essere il protagonista di una storia fantasy o di un vero sparatutto, con l’ordine da parte di un superiore di entrare in un cinema o in un ristorante ed eliminare completamente la concorrenza per la propria sopravvivenza.
Ricordiamo dunque che un gioco è solo un gioco. Se alla guida del proprio veicolo ci si comporta come un pilota di Need For Speed, allora il gioco non è più un gioco.
Giulia Mariniello

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