“Cambia il mondo ma noi no”

Il rapporto tra uomo e cibo si è molto modificato nel tempo. Per essere concisi si può affermare che nel mondo occidentale si è passati dal temere la mancanza di cibo al doversi difendere dalla sua costante presenza.
Però una sua funzione resta ferma  nei millenni: è sempre simbolo insuperabile di  indicatore della qualità della vita.
Abbondanza  e ricercatezza  sono stati ( ne sono ancora)  segnalatori di benessere e felicità. Come lo sono stati sinonimo di sicurezza e di  agiatezza. Addirittura modalità d’obbligo per le classi aristocratiche dell’Europa del medioevo, le cui corti dovevano continuamente  dimostrare l’enorme disponibilità e dispendio di cibo per mantenere la dignità del lustro a cui appartenevano.
L’avvento della borghesia ha cambiato le cose , nel senso che ha investito anche le classi meno facoltose a doversi mostrare  comunque nella piena disponibilità di abbondanza di cibo per se e per eventuali ospiti.
Il digiuno dal cibo poteva essere qualificante solo se determinato da scelte di tipo religioso.
L’asceta poteva essere considerato di grande spessore e valore intrinseco  perché impegnato in preghiera e nel perdurante digiuno . L’islam prevede un periodo di  astinenza dal ristoro alimentare, il Ramadan, che dura 40 giorni. I cristiani un tempo dovevano rispettare due giorni di digiuno alla settimana, poi diventati di magro( niente carne) , poi passati ad uno( il solo venerdì) poi niente più obbligo.
Oggi siamo ad una svolta storica e culturale.
Il cibo è sempre il simbolo per eccellenza della qualità della vita ma in senso diverso da prima.
Oggi la nostra vita sembra qualificata dall’assunzione di cibo cosidetto “Naturale”. Qualifica un po’ fumosa ma che al suo interno comprende altre qualifiche.
Ovvero  sano, genuino, che non subisce trattamenti chimici , prodotto con sistemi biologici e che conserva etica e tradizioni.
Per ognuna di queste ulteriori qualifiche bisognerebbe aprire un capitolo per cercare di definirne dettagliatamente le condizioni necessarie, ad esempio per chiamare un cibo SANO  o GENUINO.
Definire poi una tradizione diventa davvero complesso: quanto tempo addietro si forma una TRADIZIONE? E se si modifica nel tempo, come succede per tutte le tradizioni gastronomiche e non?
Comunque la si voglia vedere resta il fatto che ora al cibo viene attribuito un rapporto salvifico con la propria anima, di ruolo nelle  con le relazioni sociali e di cura con la propria salute.
Compreso quella mentale.
Io credo che non sia affatto peregrina l’ipotesi per cui molte idiosincrasie vengono oggi curate in modo autonomo attraverso la propria alimentazione. Ansie sociali tenute a bada attraverso insalate di frutta millimetricamente pesate, richieste continue di informazioni( sempre su siti dedicati e poco qualificati) che vanno dall’insorgenza di un brufolino o di un piccolo arrossamento della pelle  fino alla perdita di sensibilità ad un arto e di giramenti di testa tali da far cadere in terra.
Tutti sintomi eliminabili assumendo un frutto, un vegetale , un cereale ed eliminando  banane, miele e per carità divina mai, la mortadella.
Guardarsi ,misurarsi, sentire i propri battiti, controllare  le ore di sonno, la quantità di acqua ingerita, a quale temperatura e altre manie ossessive nascondono evidentemente problemi che, a mio modo di vedere, andrebbero affrontati in maniera diversa.
Soprattutto con una giusta informazione sul cibo e sulla sua gigantesca importanza per il futuro e la sopravvivenza della specie umana a partire dal  prossimo ventennio.

Agostino Mastrogiacomo, Presidente Acliterra Latina

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